09 Giu 2025

Papa Francesco

Papa Francesco

Quelle scarpe vecchie di Francesco

È incredibile. Ma quelle scarpe consumate di Papa Francesco, indossate nella bara, hanno avuto la capacità di condensare e concludere un messaggio che era valso un’intera vita, la sua. Il messaggio di una povertà non ostentata, ma vissuta pienamente, giorno dopo giorno, accanto ai clochards che stazionavano tra le colonne del Bernini, e, con essi, accanto a tutti i poveri del pianeta.

Ed è proprio con quelle scarpe che Francesco ha voluto presentarsi al giudizio di Dio. Scarpe consumate, invecchiate dal tempo, espressione di quel suo assillo per una Chiesa povera ed anche, e soprattutto, per un uomo contemporaneo povero. Spiccavano nella bara quelle scarpe, e così il mondo ha potuto vedere. Ma il mondo di oggi, ahimè, non sa né vedere e né ascoltare.

I poveri restano nascosti nel loro pudore e nella loro dignità, spesso offesa e insultata, a volte dimenticata perché morde la coscienza dei benpensanti. Se penso a questa povertà materiale non posso non constatare che oggi gran parte del mondo è ridotto alla fame con la colpevole indifferenza delle regioni opulente della terra. Cresce la produzione delle armi perché crescono i conflitti tra i popoli. Cresce la povertà per un’ingiusta ed iniqua distribuzione delle ricchezze.

Ma la povertà non è certamente solo questa. Anzi, Francesco si riferiva piuttosto, nel desiderare una chiesa povera ed un uomo povero, a quella dimensione umana in cui abbondino precarietà, umiltà, sentimento del limite e consapevolezza di essere creatura e non creatore. Insomma, un uomo privo di presunzione e arroganza verso quel Dio divenuto, in un attuale contesto di aridità spirituale, sempre più uno stringente ed irriducibile bisogno. Pensava perciò Francesco anche ad una Chiesa povera perché il suo volto spesso è macchiato di fragilità e ferite umane. E pensava ad un uomo povero perché lo vedeva troppo ubriaco di incongrui sentimenti di onnipotenza.

L’uomo contemporaneo corre deciso verso una concezione di benessere materiale e fisico sempre più spinto, verso una condizione sempre più perfetta, verso quell’idea eccessiva e ossessiva che lo pone su un piedistallo dove invece delle scarpe si pretende di avere le ali in un sentimento di assoluta libertà da ogni angoscia esistenziale e da ogni idea di disordine. La suggestione emergente di essere dio ha oscurato nel nostro mondo il riconoscimento di un Dio vero. Questo Dio ci vorrebbe, invece, poveri di questa idea maniacale per far trasparire nell’uomo la sua fragilità e la sua imperfezione che rappresentano le doti più avvincenti e più radicate della condizione umana.

Sentirsi poveri vuol dire dunque riappropriarsi dei propri limiti per riconoscere meglio le povertà dell’uomo che ha fame e che per abitazione ha la strada. Vuol dire mettersi al riparo dalle ambizioni che le conquiste scientifiche e tecnologiche suggeriscono all’uomo-dio. Ma vuol dire anche respingere quell’idea folle della vita che esige percorsi lineari dove tutto può essere controllato e dominato. Invece, la vita è inevitabilmente piena di curve che nascondono insidie e imprevisti. Non poter essere padroni di essi ci suggerisce quel sottile senso di inadeguatezza che si traduce in angoscia, depressione e sconforto. In questo senso Francesco voleva una Chiesa povera che manifestasse limiti e fragilità utili a far emergere l’infinita misericordia di un Dio che “non si stanca di perdonare”. Una Chiesa povera vicina ai poveri del mondo. Un uomo povero che accetta nella sua fragilità la riabilitazione redentiva di un Cristo che si fece povero per entrare nella storia dell’uomo e riscattarla.

Quelle scarpe vecchie di Francesco ci suggeriscono tutto questo, come ottocento anni fa lo suggeriva al mondo il saio strappato di un altro Francesco che camminava scalzo e che tutti chiamavano il poverello di Assisi.

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Domenico Barbaro

Domenico Barbaro

Di origine calabrese, sono nato a Platì (RC), un paese arroccato alle estreme propaggini dell’Aspromonte volte verso la costa ionica. Dopo aver fatto gli studi superiori mi sono trasferito a Roma dove ho conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università “La sapienza”.