Essere giovani in un mondo che cambia… Ogni epoca storica ha il suo scontro generazionale. Ricordo quello del ‘68, quando la frattura era così profonda da apparire insanabile. E fu la “rivoluzione” dei costumi, della cultura, dei valori, della vita in senso globale. Oggi le metamorfosi appaiono più veloci ma meno drammatiche, almeno apparentemente. Eppure, l’universo giovanile continua a dimenarsi nelle proprie difficoltà a dialogare con il mondo degli adulti. Forse addirittura ne ha perso la voglia se si considera che l’evidenza di oggi è il disimpegno, il disincanto, la delusione e la noia.
Come è difficile sanare i contrasti e recuperare l’impegno. Eppure, quando si parla di giovani si parla di futuro. Ed è inevitabile avvertire una intensa preoccupazione, se si considerano le gravi problematiche che attraversano proprio le nuove generazioni. Sulla scena c’è da un lato il mondo degli adulti, così avaro nell’offrire prospettive, e dall’altro un mondo giovane inquieto e preso da mille turbamenti. Due mondi in eterno conflitto. – Come finirà la partita? Non è facile fare previsioni, ma credo che qualcosa si dovrà pur fare per conciliare questi due mondi, per portare il primo verso le capacità e le competenze di una nuova cultura educativa ed il secondo ad un impegno concreto sul versante della crescita e della maturazione, evitando così per entrambi una deriva etica e morale prima ancora che esistenziale in senso lato.
Per il momento i segnali restano assolutamente negativi. Si naviga verso una confusione di ruoli e di messaggi, spesso di delega e di assenza per nulla rassicuranti. Sotto questo aspetto vedo molti giovani o adolescenti in cerca di una figura genitoriale autorevole e disponibile nel contempo all’ascolto. E vedo dall’altra parte molti genitori che hanno smarrito il senso del loro essere educatori, e si barcamenano tra interventi autoritari, minacciosi e comportamenti eccessivamente accomodanti. Insomma, uno scenario che va riformato partendo molto probabilmente dai quesiti più estremi, cioè da quale senso dare alla vita e alle cose, da quali obiettivi perseguire e da quale cultura porre a base di un mondo profondamente cambiato.
I cambiamenti sono presenti in ogni circostanza ed in ogni evento della vita.
Nuovi scenari si impongono in un processo di globalizzazione dagli innumerevoli risvolti, non soltanto di tipo economico. I confini che cadono, il lontano che diventa vicino provoca una profonda mutazione della comunicazione ed un correlato sovvertimento delle relazioni. L’incontro interindividuale non presuppone più la cornice della corporeità, dove sentimenti ed emozioni sono mutuati dalla gestualità, dalla mimica, dallo sguardo, da quelle innumerevoli espressioni posturali a corredo del linguaggio e della sintassi condivisi. Si comunica con interlocutori virtuali che si auto-referenziano in una cornice di confusione espressiva e perfino di identità. Cosicché anche il linguaggio è frammentato, ambiguo, carico di sottintesi, appiattito nei suoi contenuti affettivi ed emozionali. Il risultato è l’auto-isolamento, l’inclinazione all’autismo, lo sconfinamento in un orizzonte psicotico.
In questo scenario può svilupparsi il fenomeno del disturbo mentale o quello più tragico della tossicodipendenza. Le due piaghe più gravi del nostro mondo.
La ricetta? – Riprendere a comunicare in una dimensione umana dove c’è posto per i sentimenti e lo spazio corporeo, ma anche per quello spazio che inevitabilmente ci separa e ci pone nel rischio di incomprensione e di perdita.
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