21 Nov 2023

La tragica fine di Giulia Cecchettin. Sarà davvero l’ultimo femminicidio?

Femminicidio - una scarpa rossa abbandonata in strada

Ancora un femminicidio, questa volta arricchito da un angosciante e lungo tempo di inutile speranza. Forse proprio per questo la vicenda ha suscitato maggior clamore oltre che una reazione emotiva sociale molto più forte. Al punto che anche gli organi istituzionali si sono affrettati ad assicurare pene più severe e precise iniziative di prevenzione.

Sarà davvero l’ultima vittima di femminicidio Giulia Cecchettin? In tanti vorrebbero crederci, ma purtroppo non sarà così.

Femminicidio: una piaga da combattere

Ho sempre sostenuto che questa piaga del nostro tempo necessita di essere affrontata con una rivoluzione copernicana della cultura contemporanea, e ciò naturalmente necessita di una coscienza collettiva di quelle profonde contraddizioni che albergano nel mondo in cui noi viviamo al fine di risanarle.

Per semplicità voglio qui elencare le culture che vanno convertite:

Primo, la cultura dell’avere. Oggi siamo pienamente coinvolti dall’idea che vale più l’avere che l’essere. Tutto ruota attorno al possesso dei beni materiali che soli possono conferire importanza alle persone. Il successo è misurato proprio da ciò che uno possiede, per cui è questo l’obiettivo generale che ci si pone davanti. Il criterio economico, reso preminente, ha disumanizzato progressivamente sanità e attenzione ai deboli. Insomma, il messaggio dei media è subdolo e penetrante. Protagonisti sono sempre quelli che hanno. I vincenti sono sempre i migliori.

Secondo, la cultura delle relazioni virtuali. Particolarmente la generazione zeta e i nuovi nativi digitali hanno costantemente e precocemente tra le mani uno smartphone con il quale esercitano prevalentemente la loro capacità di comunicare. Il risultato è che l’altro lo si crea secondo i propri bisogni e in una configurazione ideale che sfugge radicalmente alla realtà. Si annulla completamente quel bagaglio ineludibile della metacomunicazione, si appiattiscono le reazioni emotive definite in modo sbrigativo con emoticon, si va a caccia di quanti più like è possibile a proprio vanto e al proprio inesauribile narcisismo. I dinieghi sono rari, e quando ci fossero, si trasferiscono immediatamente al cestino del display. È la fine dei veri e autentici sentimenti. Ma ciò che è drammatico è che la relazione è vissuta come possesso pieno ed incondizionato, come possesso oggettuale. L’altro che ho costruito lo posso vivere in modo esclusivo e privo della sua originaria libertà, in stile simbiotico, annullando quello spazio che ci separa e che rende ogni relazione inevitabilmente precaria e a rischio di perdere. Se l’altro non aderisce ho il potere di annullare la sua fisicità che è garanzia di libera volontà. Si è smarrita l’idea che ogni relazione esprime invece un possesso nella reciprocità, che è rispetto dei propri confini e della propria individualità.

Terzo, la cultura dell’onnipotenza. “-è bello avere tutto” dichiarava un motto pubblicitario. Non c’è nulla che non si possa ottenere o che non si possa perseguire. Alla fine, rimane una piena e completa intolleranza alle frustrazioni. Un diniego in un proprio progetto d’amore corrisponderebbe ad un fallimento cosmico, intollerabile al punto di progettare l’eliminazione dell’altro e anche del sé in una tragica fantasia fusionale. Un banale evento avverso sarebbe intollerabile al punto di sprofondare in un totale sconforto quando non in un disegno estremo di autoeliminazione.

Quarto, la cultura della donna oggetto.  Qui le argomentazioni sono semplici. Il mondo della pornografia che ha invaso anche la tv, un mezzo onnipresente in famiglia, rappresenta la donna-oggetto nelle sue più esasperate espressioni. Il sesso viene depauperato del suo più autentico valore che è quello del sentimento che lo correda, elemento fondante nella realizzazione del perfezionamento di una relazione.

Questi, in sintesi, le ragioni reali del femminicidio.

La solitudine delle vittime

Di Teresa (nome di fantasia), mia giovane paziente uccisa qualche hanno fa dal proprio compagno con numerose coltellate, se n’è parlato davvero poco. Era un amore malato, e non è bastato che io le facessi presente il pericolo. La sua fragilità e la sua dolcezza le hanno fatto tollerare tutto. Poi, quando ha deciso di chiudere, non ha trovato nessuno, proprio nessuno, che la potesse difendere, sottraendola alla ferocia animalesca del suo aguzzino. Proprio come Giulia.

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Domenico Barbaro

Domenico Barbaro

Di origine calabrese, sono nato a Platì (RC), un paese arroccato alle estreme propaggini dell’Aspromonte volte verso la costa ionica. Dopo aver fatto gli studi superiori mi sono trasferito a Roma dove ho conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università “La sapienza”.